Come note di pianoforte

C’è un suono di pianoforte, le note vanno via con lentezza e sembrano scandire i morsi del tempo e c’è una luce fioca e poco diffusa, ci sono zone in ombra qui vicino, e altre al buio, poco più oltre. Il suono del pianoforte risuona anche al buio, è risaputo, non serve illuminare il pensiero che ascolta.

E’ il momento di rinchiudersi e di bloccare le entrate e le uscite, richiamare a sè la solitudine, fissarla negli occhi.

Ci sarebbe da chiedersi cosa rimane di sè in quel sè che si muove tra gesti e pensieri con quel ritmo incompreso, in quel sè che cuce le scelte vissute alla casualità degli incontri e che ritaglia storie come origàmi che si perdono o si dimenticano. Cosa sarà mai quel sè che chiude le porte per fissare negli occhi la solitudine?

Le note del pianoforte non si smorzano e non accelerano, come fari che esplorano il percorso con lame di luce rotolano con indolenza d’onda e si insinuano nel buio della stanza e nello spessore oscuro del pensare lieve, scrostato.

Ci sarebbe da chiedersi ancora se abbia senso scrivere, rimbalzare negli occhi di una solitudine stanca e ricadere con le parole che gocciolano, strizzate ma non ancora asciutte. Cerco di ritagliare un pensiero che stia in equilibrio sulla corda tesa del ricordo e muovendomi senza rete temo che possa precipitare, il pianoforte continua la sua nenia d’altalena nella luce soffusa a sorreggere l’asta per non cadere. Allontano via le domande che restringono il tempo e che costringono il capo a voltarsi indietro, penso che, forse, sarebbe meglio chiudere gli occhi. Non li chiudo.

Mi chiedo se tutto ciò abbia senso, se non sarebbe meglio stracciare note e buio e vivere l’altrove che vive, raccogliere occhi e sorrisi e dialoghi che possano stabilire il senso inalterato della mia esistenza, se non sarebbe logico ferire gli occhi della solitudine e aggregarsi al mondo che respira incurante dei propri respiri.

Ma c’è il suono del pianoforte che indica qualcosa che sta qui dentro, al riparo dalle luci, aggrappato a un ricordo che stona con il vociare del mondo e che sorregge l’equilibrio di un pensiero tenace e ben ritagliato, c’è uno sguardo di solitudine che non conosce ferite, c’è un sè che non riesce a conoscersi e che vaga, come note di pianoforte, tra uno sguardo verso l’altrove e gli occhi sereni di una solitudine compagna.

 

[7 mar 2016]

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