Un uomo piccolo

Sono un uomo piccolo, una piccola persona. Quando nacqui tutto era nella norma, i medici sorridevano e gli esami clinici sarebbero stati dimenticati da lì a poco. Non sono nato piccolo, lo sono diventato. Nessuna malformazione, nessun disturbo mentale, un bambino vivace e in grado di imparare in fretta. “Un’infanzia igienicamente perfetta, morbillo, tristezza, e nessun’altra malattia”.

Da bambino osservavo il mondo che vedevo, da casa o da un finestrino in movimento, osservavo le abitudini degli altri, le mosse e le espressioni. E i balconi di case estranee o di appartamenti che non avrei più rivisto. Seguivo la vita che rimbalzava tra le ringhiere e l’intonaco dei muri, i vasi, qualche cane, biciclette minuscole e panni stesi. Mi piaceva guardare, senza un motivo e senza un risentimento. Perché io non volevo vivere in un balcone.

Le cose vanno così, le riconosci solo dopo che sono passate. Gli “avrei potuto” e gli “avrei dovuto” arrivano di soppiatto, a nasconderti le cose che arrivano. E si va avanti così.

Il fruttivendolo mi conosce e sa che non voglio la frutta ancora acerba, da mettere nel centrotavola a farla maturare, e lo sa bene che la frutta migliore non si vende né si compra, la raccogliamo dagli alberi e la mangiamo lì, dov’è nata, laddove è cresciuta. Lasceremo un nocciolo o la buccia, forse dei semini o forse nulla, la frutta va mangiata sotto gli alberi. Compro poca roba, ma non perché sono piccolo, ne compro poca perché devo andare al risparmio altrimenti non arrivo alla fine del mese. E’ capitato.

Un chilo di patate e mezzo chilo di fragole. Il fruttivendolo mi osserva mentre conto gli spiccioli, e sento che sto rimpicciolendo. Prendo i due sacchetti di carta e li ripongo nella sporta insieme allo scontrino. Non vivo in un balcone e la mia vita rimbalza tra le la sporta e gli spiccioli in tasca.

Avevo un amore. A dire il vero ce l’ho ancora. Ma sono davvero piccolo e non mi ha voluto più, dice che ho spento uno spazio di libertà. Adesso ho un amore che non riesco a sistemare, lo sento dentro, tra il cuore chiuso e i gesti di una vita solita, rimbalza anch’esso tra la ringhiera e l’intonaco, come un bambino che vorrebbe fuggire. Che sia io a viverlo o lui a vivermi non ha più importanza, a conferma della mia piccolezze ci sta anche lui, solido e testardo, in attesa di un cenno che non verrà.

Da ragazzo mescolavo la realtà con i sogni e spesso mi confondevo, perdendomi dietro a pensieri lucidi che, però, non avevano riscontri nella realtà. Scoprivo il dio costruito ma bisognava ascoltare le omelie dei preti, avrei voluto fare sesso ma ci stavano gli amori in mezzo, amavo mettere insieme le parole ma non sapevo parlare alla ragazze. Stavo iniziando a rimpicciolire senza rendermene conto. 

Le fragole le ho tagliate e le ho condite con zucchero, succo di limone e una bella spruzzata di brandy. Le ho lasciate qualche ora in frigorifero. Le mangerò più tardi, da solo, come al solito. Sono diventato così piccolo che mangio raramente in compagnia, qualche riunione di famiglia, sorelle e fratelli, e basta più. Per questo mi basta poco, un primo o un secondo, più spesso un’insalata. Eppure ingrasso, divento sempre più piccolo e ingrasso. Credo sia normale. Le fragole con il brandy sono squisite.

Ho spento i miei passi ma capita di trovarmi seduto ad un tavolo con una birra davanti ad ascoltare imprese altrui, ascolto e ascolto e avverto l’impressione di aver udito già tutto, mi annoio. Il mio volto assume le espressioni che ho imparato nel tempo, sorpresa, curiosità, assenso; ascolto e muto espressione con la meticolosità di un algoritmo, rido e sorrido e bevo la birra. Mi annoio. Sono un uomo piccolo, non so stare con la gente grande, avessi almeno le fragole con il brandy, no, devo accontentarmi di una birra che va a finire, di passi spenti e una nuova serie di espressioni interessate.

Mi esplode in mente il suo volto, allora sì che la stavo ad ascoltare e le espressioni del mio viso coincidevano con le emozioni che rimbalzavano tra la mente e il cuore, era tutto al proprio posto. Ero già piccolo ma ero il suo spazio di libertà, ero una sorta di porto sicuro, una Ginostra in un arcipelago impazzito. Ci si sentiva a casa, al sicuro. Lei con la sua famiglia, io nella mia piccola tana. Non vi era nulla da chiedere e da richiedere, perché ero lo spazio di libertà che si riempiva di sé, della splendida idea dell’amore che va oltre e non si sofferma sulla banalità del vivere.

Le patate vanno immerse in acqua fredda per un paio d’ore perché possano rilasciare buona parte del loro amido, poi si asciugano e si tagliano a tocchetti non troppo piccoli. Vanno in forno con le cipolle e il rosmarino. E pepe, molto pepe. Un filo d’olio extra vergine d’oliva e il tempo necessario. Uso la cipolla bianca, delicata e saporita e, se possibile, la cipolla di Giarratana, dolcissima e leggera come l’idea che lei aveva di me.

Sono un uomo piccolo e ho ferito un’idea e lei questo non lo sopporta. Perché dentro quell’idea poteva navigare sicura, incurante dell’incedere dell’esistenza, poteva abbandonare gli affetti e le scelte e dare un senso alle accuse che si rivolgeva, poteva respirare la sua stessa aria e tremare di piacere come le onde del mare che ama guardare. 

Aveva bisogno di me ed io di lei, era davvero semplice. Questo pensavo. Ma sono un uomo piccolo, piccolo come lo spazio di libertà che mi era concesso, è bastato aprire le braccia per vederla scomparire, perché questo è l’amore che spetta agli uomini piccoli, un amore senza “noi” e senza pretese, l’amore che insegue e non accompagna, l’amore dell’eterna attesa e delle scelte sbagliate. In mezzo alle altre.

A volte prendo la chitarra e suono senza spartito, conosco gli accordi ma non so leggere la musica, osservo la magia di quei segni che suonano la loro melodia ma non so che farmene. Con gli accordi suono una musica che altri hanno composto ma capita di sbandare e suonare altro, Il mio spazio di libertà. Non l’ho mai misurato, forse non è poi così ampio come immagino che sia, non ho alcuna aspettativa di grandezza, di vastità. Si crea con me. Mi basta. A lei non è bastato, il mio senso di libertà è rimasto impigliato a qualcosa che non ho visto, un’aspettativa, forse, o una libertà non concessa, o un moto dell’anima rivolto verso la parte opposta del mio sguardo. 

Sono un uomo piccolo e non capisco il lato grande delle cose, mi rivolgo sempre al segmento minore e mi limito alla sua dimensione, il resto è troppo vasto e non so come arrivarci. Conosco le formule ma comprendo anche che rimangono solo modelli di esistenze che possono solo approssimare le esistenze stesse, rimane sempre un’incurvatura, una crepa, una protuberanza, uno spazio vuoto che nessuno ha mai riempito e che blocca la comprensione. Lei è lì, da qualche parte, ha stabilito lo spazio ma forse non ha considerato che io sono un uomo piccolo, una piccola persona.

Una persona che vorrebbe non aver mai conosciuto.

Un pensiero riguardo “Un uomo piccolo

  1. Le patate in acqua per qualche ora… non lo sapevo! Per il resto mi piace l’idea di raccontarsi così intimamente, come se sfogliassi un libro che parla di te,

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