E’ giunto il momento

E’ giunto il momento, sordo e inevitabile, così come era giunto il momento dei silenzi eterni, delle due lune, degli occhi nascosti. Non c’è nulla che non vada se non le nostre vite armate all’interno di mani e piedi e capelli e pelle senza distanze ma da parti opposte della vita. Tu reclinata lì davanti, a passi incerti ed io fermo da qualche altra parte con la musica che stride e una padella sopra il fuoco.

A costruire un’esistenza si inizia da pochi elementi, due genitori, la timidezza, una piccola città di provincia. E cercare con mani povere le amicizie e le letture, la polvere dei ricordi altrui e gli amori, e poi districare i legacci che segnano i polsi e le attitudini. Il momento non giungeva, squadravo i luoghi della mia noia ma nulla, tra i marciapiedi di pietra lavica, nulla, a lato della mia sedia a scuola e lì, al primo banco, nulla, nessun gesto, nessun momento.

Si costruisce l’esistenza su travi di solitudini e massetti di errori ma si sale, si cade e si sale ancora. Avevo aggiunto distanze e sorrisi per coprire la mia timidezza, avevo raggiunto la convinzione che il tempo sarebbe stato amico e me lo lavoravo nei campi di calcio e davanti alla tv, eppure diveniva mio nemico davanti agli occhi delle ragazze e nelle estati senza fine tra gli alberi di limone e i parenti addossati alle porte di casa.

E se la costruzione non viene granché bene puoi nasconderne una parte sotto i tappeti o sotto le camicie larghe, si va per strada con i vestiti comodi e le scarpe da tennis da guardare ancora una volta, così come fa lei ma lei non guarda le scarpe ma solo gli occhi e le labbra serrate da un disagio esagerato. Non era quello l’attimo. Ma è tempo che serve comunque, è tempo che si inchioda su una trave o una colonna portante per poter salire, con i jeans scoloriti e i brufoli e i nuovi occhiali e quella mano che esplora, che vive, che si agita. Non era il momento ma i chiodi per tenere stretto quel tempo li ho usati tutti.

E quando giunge il momento, il momento delle due lune e degli occhi nascosti, si è sempre impreparati. Impreparati e felici. E il tempo svanisce, svanisce per ore, per mesi e anche per anni.

Non hanno senso i brufoli o i calzini sportivi né la timidezza e i libri letti, si sta abbracciati per il tempo infinito che conduce altrove, al di là e al di qua, conduce per pensieri nuovi e distratti e per i vicoli dei suoi occhi che sono anche i miei, conduce laddove non avevo progettato la mia esistenza e sentivo travi sgretolarsi e massetti sprofondare, avvertivo tutta la mia fragilità ed ero felice.

Era giunto il momento.

Ho ripreso il tempo, il mio tempo, e ho riparato qualche trave, massetti no che sono già qualche piano troppo in alto. Mi chiedo dove siano andate le lune e dove abbia perso i miei occhi ma inutilmente. Nessuna risposta. Tu reclini il capo mentre io sto solo a guardare, mani e piedi e capelli e pelle senza distanze ancora e noi separati dai nostri tempi, dalle travi delle nostre esistenze, dai nomi che ci hanno recuperato e dal tempo ignorato che ha fatto il suo corso, momento dopo momento.

E’ giunto il momento, ed è giunto sordo e inevitabile, come una sentenza di condanna attesa da anni, dipingeremo le travi rimaste con i colori rimasti e non staccheremo le mani o i capelli, e neanche i pensieri e gli amori che ci hanno segnato, avremo occhi nascosti e due lune, lì in alto, a tormentare le nostre notti avare e malate.

E’ giunto il momento. Vado a togliere la padella dal fuoco.

Lascia un commento