Breve

Ma cosa passa per la testa a Laura?

Assunto è appena rientrato nel web con un login distratto e usuale, come quando si attraversa una porta socchiusa dopo averla aperta senza consapevolezza. I rumori e gli odori del web sono differenti da quelli reali, sono filamenti intrecciati e colorati che non hanno ordine ma che si allineano seguendo un’idea nascosta lungo i canali metallici o le distese vuote dei wifi, e investono con delicatezza Assunto o lo accarezzano mentre pedala incurante e assorto. 

Perché Laura si preoccupa di una felicità che certamente impegna tutti noi da sempre ma da sempre rimane parola vana e sospesa, ricerca di una condizione estremamente imprecisa e temporanea? Quali risposte potrei darle io? Se avessi le parole o i gesti appropriati, se avessi lo sguardo del mondo nei miei occhi, o l’incedere del tempo nelle mie gambe allora sì che potrei tentare una risposta, potrei modellare una congettura di felicità e lasciare che Laura la esplori, ne modifichi alcuni elementi, la faccia sua. Ma ho due pedali incatenati ad una circonferenza e due occhi incatenanti a porzioni di spazio cangianti e illusori, confondo albe e tramonti e devo sostare in essi per capirne la differenza, ho parole ridotte al minimo, suoni confusi e gesti già noti che a stento potranno raccontare la mia esistenza, ho i ricordi di tutti, il Natale con i nonni e i bagni al mare, l’amore per quel viso da cercare tra i tanti visi all’uscita da scuola e un motorino senza carburante da spingere ridendo e scherzando. Nulla di più.

Anche oggi il web trascina miliardi di bit con fare silenzioso e solito, quasi una fatica addomesticata che si ripete da anni tra canali irraggiungibili e nodi aggrovigliati sotto la spinta di dita che digitano e mouse che sospingono. Assunto si ferma senza scendere dalla bicicletta per sbrogliare il cavo delle cuffie e indossarle. Riprende a pedalare mentre David Sylvian riprende la sua The Banality of Evil e il web trascina miliardi e miliardi di bit.

Come potrei essere felice e saperlo? La felicità ti aggredisce e morde la carne dell’anima, non ti da respiri o parole, e non ti lascia né respiri né parole, solo una lunga apnea muta in cui annegare per un tempo che non ha misura. E poi? Poi rimane un sapore dolciastro, un profumo che svanisce, il ricordo di un moto dell’anima e del silenzio bianco e luminoso. La felicità è bianca e muta. E breve. Breve come il digitare di una lettera alla tastiera, breve come il passo che ti porta avanti, come la goccia che cade dal tuo viso dopo un bagno a mare. Breve in un tempo senza misura. Breve. Come potrei rispondere “sì, sono felice!” se le parole non appartengono alla felicità, se la brevità eterna della felicità non ha collegamenti esterni, se i morsi alla carne dell’anima sono muti e bianchi, come potrei io esclamare la mia felicità se nel frattempo devo rispondere ad una domanda? Laura, ma cosa ti passa per la testa?

Pedalare nel web è agevole, basta essere accorti e non seguire i canali gremiti di ricerche o download, evitando le zone circostanti i siti più affollati e lasciando che siano i rumori e gli odori aggrovigliati a indicare i luoghi da percorrere. Assunto è abile e utilizza gli spazi esigui che si aprono tra un download e l’altro per creare scorciatoie e lasciare andare i pedali e il manubrio, una sorta di saltimbanco in bicicletta a mani e gambe aperte aggrovigliato agli odori e ai rumori del web.


Laura raccoglie i pochi fogli dal tavolo e spegne il suo portatile. Ha gli occhi stanchi e il pensiero spento, rimette tutto in ordine nella borsa e si ferma. Deve andare via da lì, lasciare la stanza, spegnere anche la luce, chiudere la porta. Chiudere un segmento temporale. Confermare che è terminato, che c’è altro da fare, fosse solo camminare per andare altrove. Ma Laura è stanca di porre termine e ricominciare finché non verrà l’attimo di una nuova chiusura. Vorrebbe procedere senza i punti e a capo, senza maniglie da bloccare o serrature da serrare, vorrebbe evitare gli addii e i saggi di fine anno. Nessun capodanno, nessuna fine sessione.

Avrò fatto la figura della stupida con Assunto. Sei felice? Che domanda assurda! Ed io? Certo che no, non sono felice, nella maniera più assoluta. Domani gli dirò che la mia domanda è stata stupida e inopportuna. Capirà. Capirà?

Si ricomincia. Laura spegne la luce e chiude la porta. Torna a casa, lentamente, evitando i motorini lasciati sul marciapiede e la noia trascinata nei suoi passi, ritorna a casa masticando il tempo che la traghetta da un luogo all’altro senza nulla di importante, senza un pensiero nuovo o un viso interessante, senza l’odore di un ricordo dimenticato o l’idea nuova da inseguire. Passo dopo passo Laura si allontana dall’ultima sua chiusura e si dirige verso la nuova apertura. Le chiavi a portata di mano, l’interruttore al solito posto, lo stereo con la playlist che le ha preparato Assunto, due lacrime che si formano ad inumidire gli occhi.

Laura apre la porta di casa e lascia andare la borsa al buio, non accende la luce, sa dove andare.

Con il telecomando accende lo stereo. Play. Le note si diffondono nel buio, la voce di David Sylvian comincia a cantare Let the Happiness In. La felicità è bianca e muta. E breve. Breve come la lacrima che cade dal viso di Laura.

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